Walter Cunnigham è stato uno degli astronauti di Apollo 7 che volò attorno alla Terra a partire dall’11 ottobre 1968. C’era grande attesa, apprensione e anche paura per quel volo che avveniva a poco più di un anno dalla morte di tre astronauti bruciati all’interno di Apollo 1. Tutti sapevano che la missione di Apollo 7 presentava ancora grandi rischi, che non era stata preparata alla perfezione, ma la data di scadenza di fine decennio per raggiungere la Luna che aveva dato John Kennedy era ormai molto vicina e non si poteva andare troppo per il sottile. E così prima ancora che si capissero le cause dell’incendio avvenuto a bordo di Apollo 1 (ancora oggi non sono chiare nei dettagli) la capsula di Apollo 7 venne eretta al Complex 34 di Cape Canaveral e un razzo Saturno 1B si alzò verso il cielo con i tre membri dell’equipaggio che restarono in orbita terrestre per 11 giorni. Con Cunnigham vi erano il comandante Walter Schirra e Donn Eisele. L’11 e 12 novembre 2017 abbiamo ospitato l’astronauta, oggi ottantacinquenne. Cunnigham ha ricordato il suo volo, i pericoli e ciò che oggi rende molto più lenta l’esplorazione spaziale rispetto al passato.
Cunningham: “Una volta nello spazio testammo tutto quello che ci era stato chiesto, anzi agli esperimenti richiesti se ne aggiunsero altri mentre eravamo in volo. Per questo posso dire che la missione ebbe il 101 per cento di successo”. La missione è anche ricordata per una sorta di ammutinamento dell’equipaggio.
Cunningham: “Personalmente mi affidai alle decisioni del comandante della missione, il quale in realtà si rifiutò di eseguire alcuni ordini impartiti da Houston”. Tutto ebbe inizio quando tutti i tre astronauti si ammalarono. La causa fu un raffreddore che Schirra aveva già contratto a Terra, ma che aveva tenuto nascosto. La ribellio
ne nei confronti di Houston si ebbe nel momento in cui venne chiesto loro di indossare il casco per la fase di rientro. Schirra fece presente che il muco avrebbe potuto danneggiare i loro timpani. Nonostante i richiami di Houston gli astronauti ebbero la meglio e ritornarono a Terra senza usare il casco. Ma i problemi sorsero anche quando Houston chiese di realizzare una diretta televisiva. Schirra si diceva oberato di lavoro e la diretta avrebbe distolto gli astronauti dal loro compito. Ma in questo caso Houston ebbe la meglio e Apollo 7 realizzò la prima diretta televisiva dallo Spazio, tant’è che vinse un premio televisivo internazionale “ma la NASA ci impedì di andarlo a ritirare”, ha detto Cunnigham.
Durante la conferenza il Col. Cunningham ha raccontato la sua esperienza personale e ci ha dato la sua visione del futuro dei viaggi spaziali. Di seguito alcuni brani del suo intervento e alcune risposte date ai giornalisti presenti.
Cunningham: “Durante il lancio di Alan Shepard (primo americano ad andare nello spazio) ero in macchina vicino a Cape Canaveral. Durante gli ultimi istanti del conto alla rovescia ci fu qualcosa che mi spinse ad imitarlo. Due anni dopo condividevo l’ufficio proprio con Shepard”.
Cunningham: “Non ebbi mai paura di volare su Apollo 7, nonostante la tecnologia del tempo. L’unica paura che avevo era di fallire in qualche cosa per colpa mia”.
Cunningham “Il mio primo stipendio fu di 13.000 dollari all’anno che poi diventarono 25.000 dollari al termine della carriera. Durante i giorni di volo di Apollo 7 guadagnai 600 dollari in più. E la NASA non fece un’assicurazione a quel volo perché da civile – come lavoravo a quel tempo – costava tantissimo e così volai senza assicurazione. No, non divenni astronauta per soldi”.
Cunningham: “Rispetto i miei anni alla NASA, sono cambiate tante cose. Oggi la NASA rispecchia la nostra società. Non si vuole più avere rischi in tutto quello che si fa. Ma il rischio non lo si può eliminare, si può solo gestirlo. Non c’è mai sicurezza assoluta quando esplori l’ignoto. L’esploratore deve saper sfidare anche la morte. Oggi la NASA invece vuol portare il livello di sicurezza agli estremi e dunque i ritardi si accumulano
sui ritardi. Quando Magellano partì per circumnavigare il mondo lo fece con 25 navi e 220 uomini. Al ritorno vi era una sola nave e 18 uomini. Tutti gli altri erano morti, compreso Magellano”.
Cunningham: “Non c’è dubbio che le società private sono molto più efficienti della NASA e non ho dubbi nella loro capacità, soprattutto dopo aver visto il ritorno a Terra dei razzi per essere riutilizzati”.
Cunningham: “No, non penso che SpaceX porterà l’uomo su Marte nel 2024 come dichiarato da Elon Musk.
Non vedo ancora la tecnologia necessaria. Sia Space X sia altre società guardano a Marte in modo troppo romantico, è necessario invece affrontare i problemi tecnici che sono ancora tantissimi. Per raggiungere Marte ci vorranno almeno 30 anni se non 40”.
Cunningham: “La NASA non riesce a raggiungere nuovi obiettivi perché oltre ad essere troppo burocratica spende troppo in vari settori dove dovrebbe limitarsi. Da un lato spende tantissimo per l’educazione. Dovrebbe lasciare che siano altri a realizzare ciò, inoltre spende moltissimo per lo studio del riscaldamento globale che considero una grande stupidata”.
Cunningham: “Va detto che non si deve pensare di tornare alla Luna invece di andare su Marte. La Luna è fondamentale da un lato perché può diventare un luogo di ricerca importantissimo, dall’altro perché tappa fondamentale per prepararsi all’esplorazione marziana”.
Cunningham: “Non ritengo che per rilanciare l’esplorazione lunare il turismo spaziale possa costituire una forma di sostentamento per futuri programmi spaziali”.